La sua prima edificazione risale all’XI sec.; la torre campanaria, voluta nel 1470 dal canonico Giovanni Montaperto, è a pianta quadrata, di stile gotico-catalano; l’interno presenta diversi stili: normanno nel transetto e nella torre dell’orologio, gotico-chiaramontano nella prima parte della chiesa con le colonne a base ottagonale che sorreggono gli archi a sesto acuto, rinascimentale nella facciata e nel campanile, barocco nel presbiterio e nella sezione centrale; un parte del soffitto è a capriate lignee dipinte (sec. XVI), una parte a cassettoni dorati (sec. XVII); l’abside è del sec. XVIII con affreschi dell’abate Michele Blasco di Sciacca e del palermitano Bongiovanni; nell’ala sinistra del transetto c’è la quattrocentesca cappella della famiglia De Marinis; dalla navata di destra, sul cui altare maggiore è posta una gaginesca Madonna col Bambino, si accede alla cappella di San Gerlando, i cui resti sono custoditi in un’urna argentea del Seicento; vicino la porta laterale è l’urna con il corpo imbalsamato di S. Felice martire, ritenuto dalla tradizione popolare il corpo del paladino Brandimarte e raccontato nell’Orlando furioso di Ludovico Ariosto; negli ambienti della torre campanaria si conserva la “lettera del diavolo”, scritta in caratteri indecifrabili dalla venerabile suor Maria Crocifissa, della famiglia dei Tomasi, nel 1645 e datata 1676.

Se non che, quando già alla piazza della Cattedrale era cominciata ad affluir la gente per la processione e s’era finanche aperta la porta di ferro su la scalinata presso il seminario, donde la SS. Vergine soleva uscire ogni anno, e dal seminario erano arrivati a due a due in lungo ordine i seminaristi parati coi camici trapunti, e tutt’in giro alla piazza erano stati disposti i mortaretti, ecco sopravvenire in gran furia dal mare fra lampi e tuoni una nuova burrasca.

Il sagrestano, dagli di nuovo a sonar tutte le campane per scongiurarla, sul fermento della folla che s’era messa intanto a protestare, indignata perché sotto quella incombente minaccia del tempo i canonici volessero mandar via a precipizio la Madonna. E fischi e urli e invettive sotto il palazzo vescovile, finché Monsignor Vescovo, per rimettere la calma, non aveva fatto annunziare da uno de’ suoi segretarii che la processione era rimandata alla domenica seguente, tempo permettendo.

(Visto che non piove, novella, 1915)

Era qua, ora, il regno della morte. Dominata, in vetta al colle, dall’antica cattedrale normanna, dedicata a San Gerlando, dal Vescovado e dal Seminario, Girgenti era la città dei preti e delle campane a morto. Dalla mattina alla sera, le trenta chiese si rimandavano con lunghi e lenti rintocchi il pianto e l’invito alla preghiera, diffondendo per tutto un’angosciosa oppressione. Non passava giorno che non si vedessero per via in processione funebre le orfanelle grige del Boccone del povero: squallide, curve, tutte occhi nei visini appassiti, col velo in capo, la medaglina sul petto, e un cero in mano. Tutti, per poca mancia, potevano averne l’accompagnamento; e nulla era più triste che la vista di quella fanciullezza oppressa dallo spettro della morte, seguito così ogni giorno, a passo a passo, con un cero in mano, dalla fiamma vana nella luce del sole.

(I vecchi e i giovani, romanzo, capitolo VI, 1909)