Se ti trovi sul percorso lungo, superata la zona del Duomo inizierai a scendere finché, tra la salita Seminario e la via Oblati, ti troverai davanti un pannello che ti indicherà l’itinerario nel quartiere “Rabato“.

Il “Rabadh“, sobborgo arabo, quartiere popolare dell’Agrigento musulmana, posto nella zona occidentale più estrema del colle di Girgenti, si contrapponeva al quartiere fortificato, lo “Hisn“, dove vivevano i notabili ed il Re, sulla collina dominata dal Castello.

La presenza araba in città, fatta eccezione per pochi resti del Castello inglobati negli ambienti del Convento dei Padri Liguorini, si riscontra tutt’oggi nel sopravvissuto tessuto urbano, caratterizzato dall’assetto viario “sinuoso ed irregolare”, da piccoli vicoli caratteristici, spesso ciechi, con cortiletti, archi ribassati e piccoli orti, di cui resta a volte la toponomastica come via Bac Bac.

In età normanna e poi federiciana sorgono ad oriente e fuori dallo Hisn i borghi extra moenia di San Francesco, San Michele, San Pietro, chiamati volgarmente “Rabati“. Tali borghi vennero inclusi all’interno della nuova cinta muraria dalla fine del XIII sec.

Il “Rabato” o “Rabatello” (piccolo sobborgo), come è citato dalle fonti storiche, rimase fuori dalle mura cittadine ed era caratterizzato dalle attività artigianali lungo la via che conduceva al caricatore.

Si trovano nel “Rasatello” le fabbriche del Carmine “decorate” dalla famiglia Chiaromonte (oggi Palazzo dei Mutilati), l’ospedale di Santa Croce, retto nel 1530 dai Minimi Paolotti, e le chiese di Santa Caterina, San Francesco di Paola e, alla fine del XVII sec., la chiesa dell’Addolorata.

Nel corso dei secoli il “Rasatello” diventa il quartiere più popolato di tutta la città, centro del commercio e delle tradizioni religiose e popolari, animato da botteghe artigiane e venditori ambulanti.

A seguito della frana del 1966, causata anche da scellerate scelte urbanistiche, si determina l’abbandono del “Rabato” fortemente danneggiato.

IL VITALIZIO

 

Per istrada però, quasi avesse gli occhi abbagliati, non riuscì a distinguer nulla: una gran confusione, come se la gente e le case tremolassero tutte nel sole. Le orecchie gli ronzavano. S’avviò in fretta, istintivamente, verso casa. Entrando per Porta Mazzara nel sobborgo Ràbato, subitamente gli venne al pensiero la madre, e s’intenerì fino alle lagrime.

 

Alzò gli occhi, così pensando, a Girgenti che sedeva alta sul colle con le vecchie case dorate dal sole, come in uno Scenario; e cercò nel sobborgo Ràbato, che pareva il braccio su cui s’appoggiasse così lunga sdraiata, se gli riusciva scorgere il campaniletto di Santa Croce, ch’era la sua parrocchia. Aveva là presso un vecchio casalino, dove avrebbe chiuso gli occhi per sempre:

Non poteva vedersi là tra tutte quelle femmine e quei ragazzi della Piazzetta di Santa Croce: la z’a Milla, ch’era la meglio del vicinato e dettava legge a tutti, placida placida, fina e pulita come una signora; la z’a Gàpita, che pareva una pentolaccia squarciata, con tanto di pancia, come se fosse sempre gravida; la ‘gna Croce che strillava dalla mattina alla sera non solo ai cinque figliuoli, che non le lasciavano addormentare il sesto, sempre attaccato a quella pellàncica cenciosa, che quando se la cavava dal corpetto faceva sputare dallo schifo: ma alle otto galline e al gatto e al porchetto che allevava in casa di nascosto alle guardie municipali; e la ‘gna Carminilla detta La Spiritata; e la z’a Gesa detta La Mascolina; e tutte le altre che non finivano mai.

 

Uomo di parola, il notaio Zàgara. La mattina del gran giorno, il sobborgo Ràbato fu destato dall’allegro strepitar della banda musicale che, a suon di marcia, si recava all’abitazione del vecchio centenario. Il casalino era stato parato festosamente di ghirlande e bandiere, durante la notte, mentre il vecchio dormiva. Nella piazzetta erano rizzati i pali per la girandola. E un’altra sorpresa le buone vicine avevano preparato al loro vecchietto: un abito nuovo per la festa, tagliato e cucito da loro.
         Quando la folla, insieme con la banda, si riversò nella piazzetta, la porta del casalino era ancora chiusa.

 

 

 

IL TURNO

Per istrada però, quasi avesse gli occhi abbagliati, non riuscì a distinguer nulla: una gran confusione, come se la gente e le case tremolassero tutte nel sole. Le orecchie gli ronzavano. S’avviò in fretta, istintivamente, verso casa. Entrando per Porta Mazzara nel sobborgo Ràbato, subitamente gli venne al pensiero la madre, e s’intenerì fino alle lagrime.

 

Quantunque don Diego fosse già entrato in convalescenza, Pepè Alletto usciva, una sera, raggiante di felicità dalla casa di lui, allorché, pervenuto all’imboccatura del Ràbato oltre via Mazzara, si trovò davanti Mauro Salvo che gli faceva la posta in compagnia dei fratelli e dei cugini Garofalo.